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Linkedin, un’area di lavoro per generare opportunità.

Si fa presto a dire: lavoro utilizzando i Social Network.

Se nel passato i social sono stati canali nei quali lavorare anche solo utilizzando l’organico (puntare alla crescita del brand e del canale senza utilizzare l’advertising), oggi questa cosa risulta essere molto più difficile.

Ormai, secondo molti, e non a torto, se non si fa ricorso alle sponsorizzate non si raggiungono risultati degni di questo nome. Facebook, Instagram e gli altri social consentono di raggiungere il proprio pubblico “utile” solo se si contribuisce “alla causa”.

Ma se pensiamo che i social sono nati come reti tra persone è giusto continuare a pensare che essi servano a favorire e a coltivare relazioni tra persone.

L’approccio one to one piuttosto che uno a molti è certamente una strategia da non abbandonare, anzi da coltivare ancor più oggi.

Sempre più l’advertising perde di efficacia perché ci aiuta a raggiungere tanti utenti, ma lo fa inserendo il nostro messaggio in una marea di altri messaggi e sottoponendo i poveri utenti dei social ad un bombardamento di informazioni che, alla lunga, crea disinteresse e un’istinto che porta a “difendersi”. Leggi il blog

Digitale: come ti organizzo il team di lavoro

Partiamo da una costatazione fondamentale: per sbarcare sul digitale e per utilizzare i canali di divulgazione dei propri contenuti, sito web, blog, social, e-mail, ecc. c’è bisogno di consapevolezza in azienda. Cioè tutti devono essere a conoscenza di questa scelta importante che l’azienda sta facendo.

Certamente devono essere consapevoli della scelta che si sta facendo:

  • Il Marketing
  • Le Vendite
  • L’Assistenza
  • Il Project management

Non tutte queste aree aziendali devono per forza essere coinvolte attivamente. Molto dipende dagli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Quando si parte con un progetto digitale (e non solo) si deve partire dall’assunto che al CENTRO DI TUTTO CI SONO LE PERSONE, a cominciare da quelle interne all’aziende per arrivare fino ai propri clienti e a coloro che potrebbero diventarlo.

Il TEAM dell’azienda diventa “una squadra” e come tale deve agire:

Se stiamo parlando di un progetto di comunicazione o di vendita certamente i primi ad essere coinvolti saranno gli uomini del Marketing e delle Vendite. Leggi il blog

Empatia è meglio… anche nel business

Sento spesso parlare di buonismo come se fosse un difetto, un segno di debolezza, un modo per non essere calati appieno nella cruda realtà, un modalità che allontana dal raggiungimento degli obiettivi. Perché il business è macho, non può permettersi il sentimento, non può permettersi di essere “umano”.

Eppure tutte le teorie economiche e di marketing mettono al centro la persona che come tale dovrebbe oggetto di attenzione e cura e non un semplice “target” o parte di un “Segmento”.

Anche l’imprenditore è una persona, anche i suoi collaboratori lo sono. Il vero capitale di un’azienda sono le persone. E allora? Siamo certi che un approccio freddo e organizzato sia più professionale e ottenga migliori risultati di un approccio empatico e collaborativo?

L’approccio empatico ci consente di metterci subito in connessione con l’altro e ci consente di comprendere meglio il suo modo di vedere le cose e anche di comprenderne comportamenti e situazioni. Leggi il blog

Second Life, ieri, metaverso. oggi, quanto siamo disponibili a una vita (solo) virtuale

Con grande enfasi, lo scorso autunno, Zuckerberg cambiava nome a Facebook e alla sua società in Meta alludendo ovviamente all’imminente avvento della realtà virtuale: il metaverso appunto.

Secondo il fondatore di Facebook questo ambiente dovrebbe riprodurre o creare un ambiente sociale e in connessione in cui gli utenti potranno interagire.

Una novità assoluta? Certamente no visto che già nel 2003 Linden Lab lanciava Second Life, ambiente virtuale che tra il 2006 e il 2007 ha raggiunto un grande successo e un vasto pubblico.

All’epoca in molti credettero di poter creare/crearsi una seconda vita nel mondo virtuale o riprodurre la propria nella realtà virtuale. Ci provarono i politici, anche nostrani, ci provarono gli artisti, ci provarono le aziende che cominciarono ad investire in Second Life aprendo negozi e aree virtuali.

Dopo un primo successo, la stessa Linden Lab ammise che su 17 milioni di iscritti solo 400.000 erano attivi, cioè utilizzavano lo strumento.

Second Life esiste ancora? Si esiste, anche se oggi è un luogo frequentato da addetti ai lavori: designer, esperti, grafici.

Meta riuscirà a migliorare quella che fu l’esperienza di Second Life? Ad oggi, ad un anno dal lancio esiste ancora poco o nulla . A differenza di Second Life, Meta dovrebbe, come promettono dall’azienda, fornire agli utenti la sensazione di essere presenti in quel luogo come se si fosse un’altra persona. Dovremmo poter utilizzare, anzi, vivere questa nuova realtà con i visori per la realtà virtuale e quelli per la realtà aumentata.

Certo oggi le tecnologie e la banda internet per qualità e quantità sono infinitamente superiori a quella utilizzata ai tempi del lancio di Second Life.

  • Basterà questo a farci immergere in questa realtà?
  • La generazione Z è quella che abbraccerà questo nuovo mondo?
  • Saremo disponibili a rinunciare a buona parte della nostra vita vissuta nella realtà e nella quotidianità per immergersi in un mare digitale?

I social, gli smartphone hanno dimostrato che siamo disposti ad isolarci o meglio a connetterci per  comunicare, ma saremo disponibili a dedicare molta parte del nostro tempo a una vita sostanzialmente virtuale dove anche le persone non saranno più le stesse, ma altre da noi?

  1. Siamo pronti per questo?
  2. Le aziende investiranno in un modo del tutto virtuale?
  3. Quanto questo mondo sarà in grado di fondersi con la realtà quotidiana e la vita reale?

Vedremo, il tempo ci saprà dire dove ci sapremo o vorremo spingere come umanità e poi, come sempre, il mercato decreterà chi avrà avuto ragione.

Intanto, se volete, datevi un’occhiata ad Horizon Worlds

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Communication Strategies: Si può fare una torta senza ingredienti?

A chi non è capitato di prendere un lavoro senza approfondire con il cliente cosa avevamo in mano.

Partendo dall’assunto: “tanto io sono bravo e me la cavo” si parte con tanto ottimismo e una buona dose di incoscienza.

Come un bravo pasticciere il “bravo comunicatore” si siede a tavolino e guarda il suo Pc con l’impazienza di chi sa già quali sono gli ingredienti da utilizzare e i risultati da ottenere.

Spesso però questi ingredienti non ci sono e allora comincia uno stillicidio continuo di contatti con il cliente dal quale spesso ci si aspetta più risposte di quelle che è in grado di dare:

Le strategie di comunicazione dovrebbero:

  •  delineare l’obiettivo/gli obiettivi della comunicazione,
  •  identificare gli stakeholder,
  • definire i messaggi chiave,
  • individuare potenziali metodi di comunicazione e i canali per la comunicazione di informazioni per uno scopo specifico.
  • specificare i meccanismi che verranno utilizzati per ottenere un feedback sulla strategia

Chi

Come prima cosa bisogna definire comunque con CHI si vuole parlare/comunicare:
Dopo aver determinato il motivo della comunicazione bisogna definire il pubblico che bisogna
raggiungere e come, bisogna essere in grado di rispondere alle seguenti domande:

  • Chi è coinvolto, interessato?
  • Esiste il pubblico che vorremmo interessare?
  • Ci potrebbero essere altri che potrebbero essere interessati?
  • Ci sono delle nicchie di pubblico che di solito vengono tralasciate e che invece potremmo raggiungere?

Strategie di comunicazione:

  • Di quali informazioni siamo già in possesso e quali informazioni ci può fornire ogni stakeholder
    aziendale?
  • Quali informazioni possiamo fornire noi ad ogni stakeholder?
  • Ci sono questioni di cui lo stakeholder aziendale è preoccupato?
  •  Come è probabile che reagirà ogni stakeholder rispetto alla strategia e ai contenuti della comunicazione?”

Bisogna tener conto del fatto che la determinazione del pubblico a cui ci si rivolge, svolge un ruolo fondamentale nella scrittura e realizzazione dei messaggi chiave e determina il loro successo.

Che cosa

Una volta definiti obiettivi e quali devono essere i destinatari della comunicazione, è bene incontrare il team del nostro cliente per definire insieme il “cosa” dire.

Come
Identificati i messaggi chiave, è necessario determinare i canali per la diffusione dei messaggi
Ecco alcune opzioni:

  • Incontri aperti in sede
  • Eventi speciali o ricorrenze aziendali
  • Supporti elettronici, inclusa e-mail marketing,  sito web
  • Incontri faccia a faccia (ono to one) con le principali parti interessate (in target)
  • Focus group
  • Media, inclusi TV via cavo, annunci display, notizie comunicati e conferenza stampa
  • Incontri pubblici
  • Social media, ad es. YouTube, Facebook, Instagram, Tik Tok, Twitter
  • Workshop

Si può ipotizzare una comunicazione diversa anche a seconda degli obiettivi e del pubblico da raggiungere. In questo caso potrebbero essere diversi i canali da utilizzare, oppure gli stessi canali potrebbero essere usati in maniera diversa.

Come il buon pasticcere, anche il buon comunicatore deve avere in mano tutti gli ingredienti per cominciare, altrimenti mentre lievita il pan di spagna, si smonta la panna, mentre si cerca lo zucchero ci si accorge di non avere le uova… e la torta non solo non riesce, ma non parte neanche…

Mappa il tuo business non tralasciando dati, idee e lettura del mercato

Quando si avvia un progetto, sia esso business o  sociale o  non profit, è necessario analizzare le risorse e gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Insieme va costruita la mappa del proprio progetto. In questa fase è bene coinvolgere tutto il team. Solo in questo modo sarà possibile individuare eventuali punti deboli e cercare di superarli. Ma per raggiungere gli obiettivi prefissati bisogna sapere chi sono i nostri potenziali clienti e qual è il loro comportamento. Solo così potremo definire una strategia vincente.

Mappare il proprio business significa tracciare un percorso chiaro e concreto verso gli obiettivi prefissati. Per riuscirci, è necessario analizzare con attenzione la concorrenza e individuare punti di forza e di debolezza rispetto ai propri rivali. Solo in questo modo sarà possibile definire una strategia efficace ed efficiente.

Mappare il proprio business è importante per capire dove si colloca nella concorrenza e quali sono gli strumenti e le tecnologie migliori da utilizzare per espandersi. Creare un modello di business significa definire le linee guida della propria azienda, stabilendo obiettivi e strategie da seguire.

Ora alla luce di quanto trattato nei miei post precedenti dove si analizzava il Pensiero Laterale e il Pensiero Divergente, è semplice fare una mappa del proprio business?

Partiamo dal presupposto che per per mappare il proprio business è auspicabile lavorarci in team e non da soli. 

Si parte certamente dai dati di cui si è in possesso, ma poi, utilizzando il pensiero divergente, non bisogna dimenticarsi: di “produrre tante idee”, “di approfondire le idee che si è andati a creare”, di evitare di “innamorarsi troppo dell’idea che si è andati a creare, ma avere la capacità di passare da un’idea all’altra nell’ambito di più associazioni semantiche”. Alla fine del percorso bisogna avere la capacità di scegliere quale tra le idee ipotizzate risulta essere la migliore rispetto allo scopo prefissato, ma soprattutto rispetto a:

  • Mercato: i nostri segmenti di clientela
  • Obiettivi: quali sono gli scopi che intendiamo raggiungere

Il Pensiero Laterale poi ci aiuta a definire un altro assunto molto importante: non esiste un solo modo per giungere a una soluzione. Inoltre è fondamentale sgombrare la nostra mente da qualsiasi pregiudizio e partendo da dati ed idee ci si incammina verso l’idea migliore da mappare in tutti i suoi aspetti. Le mappe mentali sono un ottimo strumento per rendere visibile il nostro pensiero, le nostre idee, le nostre valutazioni, i segnali che ci vengono dal mercato, la nostra capacità di rispondere alle esigenze dei nostri clienti…

Il sensazionalismo come doping aziendale. Tutto fa spettacolo.

Luci avvolgenti, location bellissima, musica, relatori che calcano il palco come showman, veri showman o showgirl a corredo, dialettica che evoca in continuazione il successo, la vittoria, il nessuno ci può fermare, l’evocazione del tradimento o del fallimento per chi non la pensa uguale.

Iniziano e continuano spesso così gli eventi e le convention aziendali dove il brand diventa un amuleto o un totem da adorare  e dove il manager di turno diventa il santone del momento.

Non mi dispiace apparire in pubblico, non mi dispiace per nulla relazionare o tenere workshop possibilmente non pallosi, ma da qui a far prevalere l’emozione sul contenuto o la forma sulla sostanza delle cose ce ne passa.

E allora la strategia di marketing, diventa la strategia di Joe, nome di fantasia ovviamente americaneggiante che ben si coniuga con lo stile da americanata dell’evento o dell’incontro.

Si perché lo spettatore (non mi viene altra definizione) non deve trovare la cosa interessante, ma ci deve credere, deve avere fede! Se mi interesso magari mi pongo qualche domanda, ma se ho fede vado avanti ad occhi chiusi.

E allora eccoli lì i mille guru del business del terzo millennio a raccontare le loro mirabolanti e infallibili imprese. A raccontare certezze e a non ipotizzare neanche minimamente l’ipotesi di un errore o di uno sbaglio. L’infallibilità del guru assurta a nuovo dogma.

Vengo spesso ripreso dai colleghi perché utilizzo di frequente il condizionale, i verbi ipotetici: vorremmo, dovremmo, potremmo.

Indice di insicurezza dicono: Io dico che è sintomo di onestà intellettuale e di tentativo di trasferire l’idea, l’ipotesi che, nonostante ce la si metta tutta, si possano anche incontrare delle difficoltà.

Il guru è sicuro di sé. Il guru è infallibile. Allora non può avere dubbi. 

Edoardo Bennato in una sua canzone dice:

… Nessuna verità

È poi così sicura

Ci sono troppi dubbi

Non fartene un problema

Quello che voglio dire, e che ho detto già in un precedente post relativo ad estetica e sostanza, è che ci si concentra troppo spesso sull’effetto emotivo che produce un’azione che non sul valore che essa deve trasferire e produrre.

Secondo me: non di rado un linguaggio eccessivamente assertivo “violenta” chi ci sta di fronte senza trasferire nulla di veramente interessante e soprattutto utile.

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