fbpx
Identità e Comunità, la forza di un brand

Fino a qualche tempo fa, spero non accada più, ogni aspetto di un progetto digitale e non solo era elaborato a parte e per suo conto.

Il Business Plan, se c’era, il brand (quasi sempre un marchio… un disegno), il design del sito (qualche volta riprendente i colori del logo o poco più), il content management system, le foto dei prodotti e così via…

Oggi non si può non pensare a un progetto come qualcosa di unico e ogni sua parte non come un qualcosa di isolato, ma come parte integrante del progetto stesso e con un ruolo specifico all’interno dell’ecosistema che si va a mettere in campo.

Proviamo a soffermarci sul brand. Cos’è e come ci si arriva l’ho già spiegato sul blog “Strategie di Ecommerce” per cui se volete approfondire non avete che da cliccare qui.

Oggi però voglio approfondire l’aspetto del ruolo che il brand può avere nel creare una comunità attorno all’azienda o al prodotto/ servizio che rappresenta.

Se il brand ha una sua “personalità” creerà facilmente attorno ad esso quella community di clienti che lo apprezzano perché un buon prodotto (azienda), ma anche che aspirano ad acquistarlo perché possedere quel prodotto è simbolo: o di professionalità, o di far parte di una certa categoria di persone, o di gente che se ne intende, o di gente sportiva e così via. Uno status symbol insomma.

In pratica il brand di prodotto o di azienda “iscrive” d’ufficio, se così possiamo dire, il cliente, il suo possessore a una comunità, a un’ élite, a un club esclusivo.  Un brand senza identità, senza una sua forte riconoscibilità, non potrà essere ricordato, non potrà scolpirsi nella mente di chi lo acquista.

Quando andremo a progettare un brand per l’azienda o la linea di prodotti che stiamo mettendo su, dobbiamo quindi pensare a un brand che abbia una sua identità.

Identità che sarà data dal suo disegno riconoscibile in tutte le possibili variabili cromatiche, magari semplice, pensate a Nike… un baffo… anzi “il baffo” ormai. Dietro al disegno però ci devono essere: la bontà del prodotto/servizio, la sua riconoscibilità, le persone che lo producono, le persone che lo utilizzano, l’idea di creare una community attorno ad esso, l’idea che chi lo usa “è differente”…

L’identità del prodotto quindi rafforzerà l’identità del cliente, lo renderà più importante, più riconoscibile, più efficiente…

Se un brand non trasferisce senso di appartenenza non sarà un brand. Immaginiamo Apple, la Vespa, la BMW, l’Alfa Romeo, eccetera. Non sono solo prodotti, sono una community che si distingue da tutte le altre dello stesso tipo. Un utilizzatore di MAC marcherà la sua differenza, un “alfista” difficilmente guiderà una macchina con un altro brand, e così via. (da Strategie di Ecommerce di ieri)

(i marchi citati sono registrati dai rispettivi proprietari)
Digital Strategies: Consulenti e Azienda, la sinergia è indispensabile

Se c’è una cosa di cui si lamentano e le aziende e i consulenti, quando si parla di digital strategies è che ognuna va per conto suo.

L’azienda continua la sua vita come se nulla fosse, i consulenti provano a mendicare informazioni dal management o da chiunque possa fare una “soffiata” su ciò che l’azienda sta facendo o vorrebbe fare.

Questo succede, forse, perché si parte da due assunti sbagliati e cioè:

  1. L’imprenditore crede di aver delegato ed esternalizzato in toto la presenza dell’azienda sulla rete e che questa attività vive e vivrà di vita propria.
  2. Il o i consulenti credono di essere talmente in gamba che, una volta definiti gli obiettivi e conosciuta l’azienda, non sarà più necessario sentire il management perché tanto di comunicazione e strategie su web  se ne occuperanno loro.

Il primo sbaglia perché l’azienda che prende vita sul web non è un’altra entità che vivrà di vita propria salvo portare nuovi incassi e nuovi contatti all’azienda “in carne ed ossa”… quella reale. presto si accorgerà che le cose non funzionano o, peggio, dimenticherà che la sua azienda vive anche on line.

I secondi perché passate le prime settimane a pubblicare post, foto e video, che parlano dell’azienda a un certo punto si troveranno a corto di idee e di notizie “vere” riguardanti l’azienda cliente, i suoi prodotti, le sue strategie, le nuove campagne in store, eccetera. Cominceranno ad annaspare !

Quando si decide di varare un progetto digitale di un’azienda, a maggior ragione se poi si tratta di e-commerce, tra azienda madre e azienda consulente si stipula non un contratto, ma una specie di matrimonio. Si decide cioè di fare un percorso condiviso nel quale è fondamentale delegare le operatività al fornitore, ma anche rendere sinergiche tutte le decisioni strategiche. Senza sinergia tra fornitore e cliente non ci possono essere risultati apprezzabili.

Il fornitore di servizi digitali in realtà diventa uno di casa, un parente stretto, uno dell’azienda. I contatti con il management sono giornalieri.

Questo consentirà di essere efficaci nell’azione on line, ma anche di correggere o migliorare il tiro.

Senza sinergie, questo matrimonio durerà poco.

Per chi vuole incontrarmi, alle 15, il 27 giugno sono a #EcommerceLAB a Foggia in Camera di Commercio.

Oggi parliamo di traffico

No, non voglio annoiarvi con questioni legate all’utilizzo o meno dell’automobile e dei mezzi pubblici, ma  vorrei provare a definire il traffico web che può interessare un sito internet o un e-commerce.

  • In primo luogo possiamo dire che un sito può essere investito da quello che si definisce “Traffico naturale”
  • Molto importante nel tempo il “Traffico di ritorno”
  • Sulla rete non si è soli, per cui creare delle collaborazioni non è male: “Traffico da partnership”
  • Non può essere tutto affidato al lavoro quotidiano, ma qualcosa deve essere spinto: “Traffico da advertising
  • Arrivare direttamente al tuo pubblico, ai tuoi clienti: “Traffico da marketing diretto” (mail-marketing – engagement social)

Il Traffico Naturale

Il Traffico Naturale è caratterizzato dagli utenti che trovano da soli (ad esempio attraverso una ricerca su web il sito vostro sito Internet. All’inizio questo traffico è molto basso.

  • Vanno pianificati obiettivi sostenibili
  • Bisogna iniziare attività di SEM (Search Engine Marketing – spesso a pagamento) e lavorare sull’indicizzazione del sito: SEO (Search Engine Optimization)

Sempre più importante nel tempo è il tasso di conversione degli utenti che visitano il nostro sito, cioè quanti acquistano o quanti ci contattano.

Il Traffico di Ritorno
Se si è bravi nel coinvolgere i propri utenti/clienti nell’attività del proprio sito internet e in qualche modo essi sono spinti a ritornare ecco che si favorisce la Fidelizzazone del Cliente, fondamentale per un’attività comemrciale. E’ fondamentale che il numero di utenti di ritorno rispetto al totale, aumentino in percentuale nel tempo.

Il Traffico da Partnership
E’ il traffico che può arrivare grazie all’accordo con altri portali o con altre organizzazioni. Può esserci uno scambio di link, o di servizi, o di informmazioni. Di solito quando sono gli altri a parlare di noi è molto meglio che essere autoreferenziali. Oggi se c’è un portale che posta un articolo su di noi quello conta molto di più di una nostra pagina “chi siamo”, o “i nostri servizi”.

Il Traffico da Advertising
Non si può prescindere, per un progetto web, dall’ottenere traffico anche da attività di advertising sulla rete, ad esempio: Adwords di Google o Facebook Ads.
Se si vogliono risultati bisogna investire anche in promozione. Pur facendo un ottimo lavoro sul posizionamento naturale del sito questo non sarà mai sufficiente ad imporre il sito al mercato di riferimento in tempi brevi.
Va comunque detto che se non si fa un lavoro serio sul posizionamento organico, il traffico da Advertisng saràsolo un traffico “drogato” che si bloccheràdel tutto ogni volta che si “spegnerà” una campagna.

Il Traffico da Marketing diretto
E’ molto importante avere o generare liste di persone a cui poter inviare nostre comunicazioni. Tali liste possono generarsi grazie all’acquisizione di indirizzi di registrazione al nostro portale, di iscrizione alle newsletter, di contatti presi in store, di contatti acquisiti attraverso l’attività social.  Con questi contatti, previo consenso, è possibile fare a esempio attività DEM (Direct Email Marketing)

 

Perché è importante pubblicare e diffondere article marketing ? Due concetti: SEO e reputazione on line.

Se i contenuti hanno sempre più importanza e valenza per guadagnare visibilità web, acquista sempre più valore quella visibilità che ciascuno di noi riesce a conquistarsi attraverso la pubblicazione di articoli e post che fanno riferimento a noi o per argomento trattato o per link che rimandano ai nostri siti e canali web. Se vogliamo entrare nello specifico, parliamo degli article marketing. Ciascuno di noi ha più valore se sono altri a parlare di noi e non noi ad essere solo autoreferenziali.

L’ article marketing è uno degli ingredienti fondamentali per un SEO di successo. Anche se gli algoritmi dei motori di ricerca cambiano spesso e di volta in volta ci ritroviamo a dover recuperare posizioni, il valore di articoli che parlano di noi in giro per il web non varia, anzi comunque contribuisce a valorizzare il nostro posizionamento on line.

Ma anche andando oltre il posizionamento su web, possiamo affermare con certezza che l’article marketing può aiutare a rendere migliore la propria reputazione on line e rendere sempre più ricchi i contenuti che parlano di noi e della nostra azienda. Uno dei maggiori fattori di successo sulla rete è il content marketing.

Allora, cos’è un article marketing?

Possiamo dire sia un testo ricco di contenuti e pubblicato su più portali web (compreso il proprio) e che tende a orientare il traffico verso il nostro sito web attraverso backlinks o risultati di ricerca sui motori (SEO). Non è detto, se si decide di distribuire l’articolo su più blog, siti e testate, che il contenuto debba essere esattamente uguale. Anzi, se si riesce a produrre contenuti specifici per la testata on line o per il blog che ci ospiterà e per il suo target, i risultati saranno certamente migliori.

Quali possono essere le tipologie di article marketing e content marketing da produrre e distribuire ?

  • La pubblicazione del testo nel proprio sito e in siti correlati
  • Scrivere e distribuire comunicati stampa
  • Pubblicare i propri articoli in portali, web magazine, directories, gruppi verticali e orizzontali
  • Inviare il proprio post attraverso una newsletter (vale la pena se abbiamo un grande numero di abbonati)
  • Diffondere i post attraverso i canali social

Come un article marketing può aiutare a livello SEO?

Certo, il primo punto fondamentale è che questo post, pubblicato sulla rete, faccia traffico a nostro vantaggio cioè orienti nuovi utenti verso il nostro sito.

Qualsiasi sia il metodo scelto per diffondere e pubblicare l’article marketing, esso nel tempo ottiene lettori e genera una piccola nicchia di utenti che si interessano di noi e dei nostri prodotti contribuendo, tra l’altro, a far crescere il passaparola favorevole e la nostra brand reputation.

L’article marketing è sempre parte di una strategia digitale complessiva e di un’attività di web marketing non estemporanea. Ogni contenuto e la sua diffusione va ben pensato. Ogni article marketing non deve essere essere realizzato così, tanto per pubblicare qualcosa, ma deve dare ai nostri utenti qualche notizia in più, deve essere utile, interessante, accattivante possibilmente approfondito, cioè i suoi contenuti non devono essere né improvvisati né approssimativi. Poche notizie, non noiose, ma utili e studiate. Buona scrittura.
A proposito mi occupo di article marketing e content marketing a livello personale, ma anche e soprattutto sono in un ottimo team che si occupa di strategie digitali. Se vuoi contattami.

[contact-form-7 404 "Non trovato"]

2016, l’anno della politica “strana” e della “colpa” dei “Social”

Si chiude un anno nel quale di cose ne sono successe. Non starò qui a fare la disamina dell’intero anno, ma certamente voglio focalizzarmi su tre aspetti e tre avvenimenti politici molto importanti: la Brexit, la vittoria di Trump,  la sconfitta del SI e di Renzi nel referendum costituzionale.

In alcune disamine veloci e superficiali di questi avvenimenti qualcuno ha detto che è stata colpa dei “social”, del fatto che sui social si disinformi, che il populismo cavalchi la rete e condizioni pesantemente i cittadini facendoli “sbagliare” nel voto.

Partiamo dalla Brexit, l’allora premier inglese Cameron ha puntato sul referendum per rafforzare la sua leadership  e brexitper dimostrare una volta per tutte che i cittadini britannici fossero per l’Europa.

I sondaggi gli davano ragione e  davano per vincente la fazione contraria alla Brexit, ma il risultato referendario ha visto senza ombra di dubbio vincenti i fautori dell’uscita della GB dall’Europa.

Un errore di comunicazione ? Una campagna scorretta e disinformante dei fautori della Brexit ? Trionfo del Populismo e del nazionalismo ?

Forse. Però io credo più nell’incapacità del Governo inglese di comprendere il disagio vissuto dai propri cittadini nel vivere l’Europa in quel momento storico.

Sempre più abbiamo a che fare con politici e partiti non in grado di vivere più in mezzo alla gente, con movimenti che si fidano più del guru di turno, dello stratega, del salotto buono, che delle voci che si ascoltano nelle metropolitane o nelle piazze o da salumiere.

La Clinton, venendo alla vittoria di Trump, non ha saputo interpretare il disagio del cittadino americano medio, trumpnon ha letto le periferie, non ha letto il disagio delle vecchie città industriali, non ha letto la paura dei cittadini verso il futuro.

Trump ha scelto di dire quello che le persone si aspettavano che il futuro presidente dicesse. Ha parlato alle loro pance. Quando un politico, ancor più se “democratico”, non legge più le paure della gente, ma propone ricette, forse giuste, ma non in grado di essere capite, lascia spazio a chi risponde concretamente sia pure con ricette, assolutamente non condivisibili e simil razziste.

Certo Trump dovrà essere in grado di fare ciò che ha detto. Al momento ha corretto sicuramente un po’ il tiro, e una volta alla Casa Bianca forse lo farà ancora di più, ma il dato che voglio far emergere anche qui è che non è il guru della comunicazione che ha fatto vincere o perdere l’uno o l’altro, ma è l’una, in questo caso la Clinton che non è “scesa” tra la gente, non ha capito e non ha letto i bisogni degli americani. E ha perso.

Non sono i social che fanno perdere. Si perde quando si pensa che i social e i media in generale siano sufficienti a vincere. Se la rete virtuale non diventa rete reale, tra la gente, fatta di carne e ossa si perde.

Veniamo all’esempio più vicino a noi, al referendum costituzionale, alla schiacciante vittoria del NO.

Ci sono stati sicuramente errori sostanziali: ad esempio e lo hanno detto tutti, la personalizzazione di Renzi (fatta da lui in primis) del risultato, voleva un plebiscito a suo favore, e l’appiattimento dell’azione di Governo sulla riforma.

Errori strategici, che si è provato a correggere senza alcun risultato.

Poi quell’overdose di comunicazione del Premier in tutte le salse su tutti gli schermi, con sponsorizzate renzieobamasu tutti i social a favore del SI, con personaggi, banche, Confindustria, organizzazioni internazionali e altri schierati per il SI che hanno dato l’impulso definitivo e vincente al NO.

Se un verdetto viene fuori da questo referendum è che occupare tutta la comunicazione non è sufficiente se non c’è chi convintamente, regione per regione, città per città, tra la gente si impegna per raggiungere il risultato.

I Comitati per il SI esistevano, ma erano precettati. I comitati per il NO non avevano mezzi, si moltiplicavano in rete, ma poi facevano centinaia, migliaia di riunioni spontanee per le strade, nei circoli, nei bar, tra la gente appunto.

La grandissima affluenza al voto è il segnale che chi voleva bloccare quella riforma lo ha fatto consapevolmente e convintamente, magari ciascuno per un proprio motivo, ma lo ha fatto. Leggi il blog

Azienda, proposta di valore, user experience, web strategies, è sempre una questione di persone

 

Ho messo al centro delle mie riflessioni rispetto al lavoro da mettere in campo in un’attività che veda protagonista la rete come strumento di comunicazione, relazione o vendita, le persone.

La rete, sia pure come strumento digitale, l’ho sempre vissuta come un “luogo”, una piazza nella quale incontrare persone, professionisti, manager, imprenditori. Quindi persone prima di “partite IVA”.

Un’Azienda quando decide di sbarcare o potenziare il suo business su web, non può che avere bene in mente i suoi obiettivi di business e la proposta di valore che vuole offrire ai suoi clienti. Avere bene in mente le persone che compongono la squadra aziendale, l’esperienza che si vuole offrire ai propri clienti nel processo decisionale che li porterà a scegliere o a vivere l’esperienza d’acquisto, le strategie da mettere in campo sul web.
In tutti questi processi, le persone sono protagoniste ed entrano in relazione.

Clienti, squadra aziendale, utenti del sito e dell’ecosistema aziendale non sono altro che persone. E’ su di loro e con loro che deve essere concentrato il nostro lavoro.

Avrò il piacere di parlare con voi di questo a SMAU il prossimo 26 ottobre alle 12,30, a FieraMilanoCity presso l’Arena Open Innovation a cura di Regione Lombardia. 

Per iscrivervi cliccate qui !

Leggi il blog

C’è ancora chi pensa che è una questione di comunicazione

Mi capita spesso di chiacchierare con imprenditori che pensano che, delegando la comunicazione dell’azienda a una terza parte si sono liberati di questo onere.

C’è poi chi pensa che la comunicazione sia una branca dell’azienda completamente a sè stante e che quindi una volta organizzata sarà lei a operare in autonomia.

Possiamo dire che la comunicazione dell’azienda è un output rispetto all’attività aziendale ?

Possiamo dire che senza gli input fatti di: strategia, visione, organizzazione, coinvolgimento, rete di relazioni fuori e dentro l’azienda la comunicazione del terzo millennio non ha ragione di esistere ?

Direi di si. Possiamo avere dei bravissimi esperti in comunicazione, ma se non forniamo loro “benzina” e “linfa vitale” essi potranno anche partire con entusiasmo, ma prima o poi si fermeranno perché avvertiranno una forte dicotomia tra ciò che pubblicano e condividono e ciò che l’azienda realmente fa.

L’Azienda di contro si renderà conto che pur avendo investito in uomini e/o mezzi non avrà ottenuto risultati apprezzabili e dirà che quelli della comunicazione non ottengono risultati.

Ecco, è il caso di ripensarsi. Oggi la comunicazione è complessa. Non è un fatto di sola creatività, ovviamente sempre importantissima, anzi è fondamentale, ma è un dato di fatto che senza un pieno coinvolgimento dell’impresa nel comunicare essa sarà asfittica perché perderà presto di propulsione.

Se fino a ieri la comunicazione raccontava l’azienda, oggi la comunicazione è l’azienda, con la sua mission, i suoi valori, le sue “persone”, i suoi clienti, i suoi partner, i casi di successo. L’azienda si racconta, ma soprattutto l’azienda è raccontata da chi la vive e da chi ha avuto o ha a che fare con essa… Leggi il blog

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi