Il sensazionalismo come doping aziendale. Tutto fa spettacolo.
Luci avvolgenti, location bellissima, musica, relatori che calcano il palco come showman, veri showman o showgirl a corredo, dialettica che evoca in continuazione il successo, la vittoria, il nessuno ci può fermare, l’evocazione del tradimento o del fallimento per chi non la pensa uguale.
Iniziano e continuano spesso così gli eventi e le convention aziendali dove il brand diventa un amuleto o un totem da adorare e dove il manager di turno diventa il santone del momento.
Non mi dispiace apparire in pubblico, non mi dispiace per nulla relazionare o tenere workshop possibilmente non pallosi, ma da qui a far prevalere l’emozione sul contenuto o la forma sulla sostanza delle cose ce ne passa.
E allora la strategia di marketing, diventa la strategia di Joe, nome di fantasia ovviamente americaneggiante che ben si coniuga con lo stile da americanata dell’evento o dell’incontro.
Si perché lo spettatore (non mi viene altra definizione) non deve trovare la cosa interessante, ma ci deve credere, deve avere fede! Se mi interesso magari mi pongo qualche domanda, ma se ho fede vado avanti ad occhi chiusi.
E allora eccoli lì i mille guru del business del terzo millennio a raccontare le loro mirabolanti e infallibili imprese. A raccontare certezze e a non ipotizzare neanche minimamente l’ipotesi di un errore o di uno sbaglio. L’infallibilità del guru assurta a nuovo dogma.
Vengo spesso ripreso dai colleghi perché utilizzo di frequente il condizionale, i verbi ipotetici: vorremmo, dovremmo, potremmo.
Indice di insicurezza dicono: Io dico che è sintomo di onestà intellettuale e di tentativo di trasferire l’idea, l’ipotesi che, nonostante ce la si metta tutta, si possano anche incontrare delle difficoltà.
Il guru è sicuro di sé. Il guru è infallibile. Allora non può avere dubbi.
Edoardo Bennato in una sua canzone dice:
… Nessuna verità
È poi così sicura
Ci sono troppi dubbi
Non fartene un problema
Quello che voglio dire, e che ho detto già in un precedente post relativo ad estetica e sostanza, è che ci si concentra troppo spesso sull’effetto emotivo che produce un’azione che non sul valore che essa deve trasferire e produrre.
Secondo me: non di rado un linguaggio eccessivamente assertivo “violenta” chi ci sta di fronte senza trasferire nulla di veramente interessante e soprattutto utile.